venerdì 1 aprile 2016

Lezione di Vita numero quarantasei.

Non ho mai avuto un cattivo rapporto con i miei genitori, mai. O almeno, lo credevo finchè non ho fatto i conti col resto dell'Universo al di fuori delle mura di casa.
Forse perché nei miei confronti i miei genitori sono sempre stati molto permissivi. Forse perché per me non esistevano mai i "no" categorici, ma i "sì" a qualunque costo pur di farmi contenta.
Probabilmente se fossi andata a letto più volte senza cena o con le dita tutte rosse a furia di bacchettate adesso non mi ritroverei così, nuda e indifesa come un verme appeso alla canna da pesca e pronto a farsi divorare da qualche bel pesciolone affamato. Insomma, probabilmente il problema non è stato nelle concessioni di un padre e di una madre pieni di amore per me, ma piuttosto un odio profondo nei miei confronti della perdita, della negazione di qualunque cosa io desiderassi.
Nel dubbio che queste supposizioni siano fondate o meno, mi arrabbio. E quando arrabbiarmi mi fa solo venire ancora più rabbia, in genere, mi attacco al cibo, quello che ti fa salire gli zuccheri alle stelle e il colesterolo a mille. Proprio come un alcolizzato si attaccherebbe al cartone del Tavernello. O come un accanito fumatore si attacca alle sue sigarette, producendo più smog di una ciminiera in funzione da centocinquant'anni. Ognuno affronta il senso d'inadeguatezza alla Vita a modo suo, dalla notte dei tempi. Anche se ancora non ho capito bene chi vince, chi perde, chi ha torto o ragione. E nemmeno ho capito se poi un modo giusto di Vivere c'è davvero, in fondo.
Barcollo, ma non mollo. M'accontento e godo. Lascio che ciò che non mi uccide mi fortifichi, fino a trasformarmi in un pezzo di ferro.

E a furia di imbottire il cervello di modi di dire letti sui baci Perugina quasi quasi ci credo.